La filosofia contemporanea ha riscoperto, se teniamo conto del fatto che nella filosofia e nella cultura greca antica lo sport e l’agonalità avevano un ruolo centrale, le sue profonde radici sportive. È significativa, a questo riguardo, l’immagine dell’atleta-filosofo personificata dal lottatore Platone e così percepita nell’antichità, come attestano le più antiche raffigurazione scultoree del filosofo.
L’amore fisico, ossia l’amore per le scienze motorie, per Platone è divina mania, ossia quel demone interposto tra amore e dei, nato dal legame della povertà con l’ingegno. Se prevale la povertà c’è la violazione dell’uomo, la prostituzione, la quantità, il doping. Se prevale l’ingegno c’è il narcisismo, la qualità, la perfezione. Dunque la costruzione del buon atleta o della sua morale (athlopedia) è finalizzata all’areté, ossia alla capacità di assolvere bene al proprio conto, la vera virtù, l’eccellenza. Ma quali sono gli ingredienti per essere un buon atleta? Conversione, igiene fisica, buone amicizie, cultura, gara, lotta, dialogo, sonno, sogno, elevazione, capacità di condurre una vita di ritiro finalizzata alla virtù agonistica, capacità di gareggiare. E’ vero si che dove c’è sport c’è anche sofferenza, sacrificio, fatica. Ma quando c’è l’amore fisico ecco che tutto sembra alleggerirsi. E se diamo anche vitalità al dialogo, alla speranza, alla pace, l’amore per lo sport diventa umano attuando così la competizione, la partecipazione, la solidarietà, il rispetto del codice sportivo, le pari opportunità e i principi morali.
Cristina Longo
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